Abbiamo letto, incredule (a pochi giorni dal terzo anniversario dell'uccisione di Nicola Tommasoli), l'intervista rilasciata a un settimanale nazionale dalla mamma di Federico Perini, condannato da pochi mesi, nel processo d'appello, a 10 anni per l'omicidio preterintenzionale di Nicola, la notte del Primo Maggio 2008. L'intervista contiene alcune dichiarazioni su cui, come madri (di destra o di sinistra non ha alcuna importanza), non possiamo stare in silenzio. Ne vogliamo riportare il titolo: "Sono fiera di mio figlio " e uno stralcio: "... s'era parlato di ragazzi insensiblili ... ma mio figlio manda gli sms di solidarietà, adora Harry Potter e oggi fa volontariato in una casa di riposo ... Credo che nessuno quella sera volesse arrivare a picchiarsi ... e poi, per dirla tutta, stiamo parlando di quattro ceffoni ... Null'altro ... non ci sono prove e ci sono due gradi di giudizio, con condanne pesanti che sembrerebbero basate solo su ipotesi ...".
Crediamo che, come madri che amano i propri figli, non abbiamo alcun'altra strada che aiutarli a riconoscere e a farsi carico delle proprie responsabilità individuali, soprattutto quando esse comportino percorsi di riscatto dolorosi ma inevitabili.
Non aiutare un figlio a diventare consapevole di un gesto irrimediabile che ha portato morte e vuoto incolmabile (due, finora, le sentenze accusatorie), banalizzandone la gravità ("stiamo parlando di quattro ceffoni..."), significa nutrire la banalità del male.
Ci compete invece, e vogliamo ricordarlo oggi, la "cura della civiltà ", della parola non ambigua, della libertà responsabile.
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