sabato 8 gennaio 2011

Natalia Molebatsi, poetessa sudafricana

Ecco alcune poesie di Natalia Molebatsi: chi desidera saperne di più può far visita ad un bellissimo blog:http://www.nuovoeutile.it/ita_creativita_linguaggio_scrittura.htm


I miei piedi cercano


i miei piedi raschiano sotto la superficie dei sogni
indimenticati ma
irrealizzati

indimenticabili ma
irrintracciabili
irrinunciabili ma irraggiungibili ricordi

la pelle della mia anima è invasa
l’anima della mia profondità è inghiottita dai volti banali dei vostri centri commerciali
e dei vostri sportelli di credito
i miei piedi trovano fango in cui si nascondono spine

i miei piedi cercano il tocco dell’anima sottostante
le profondità dei vostri splendidi ventri

i miei piedi cercano di ritornare indietro nel tempo,
prima di quando ci fu insegnato a dimenticare il rispetto
e a disconoscere le tracce native delle nostre orme



Parlo agli spiriti
parlo a spiriti
vivi e vegeti
che parlano al silenzio
io parlo al clamore del silenzio
loro interrogano l’asprezza del silenzio

parlo agli spiriti
che parlano al ritmo
io ballo seguendo il ritmo
parlo a ombre danzanti
su muri
muri di luce
muri di dolore
muri di fede
muri di pioggia
che non arriva mai

parlo agli spiriti
che parlano a barricate
e check points
che inghiottiscono i nostri figli nel fiore della loro esistenza
e figlie che esplodono da episodi silenziosi
di fede
e dolore
e pioggia che non arriva mai

parlo a spiriti
che parlano al silenzio e
le ali della donna cariche di desiderio
volontà, disperazione e voglia di parlare

alla mente
con la mente
non con degrado
ma con l’unità
e l’intreccio delle dita delle nostre mani
e dei nostri piedi
parlano, con la tua visione,
che è nitida

parla agli spiriti
suoni tra le mura dei nostri pensieri
non solo attraverso il movimento delle labbra
ma l’evoluzione dell’anima
e crea la tua

sentiero da tracciare

parlo a spiriti
facendo risuonare
i colori di ogni ombra
che danza sulle mura dei miei pensieri

parlo a spiriti
che non svaniscono mai
(io) parlo agli spiriti

 
Song for Azania

Some say I don’t believe, but I do
I do believe in you my Azania
You are the very soil that I come from, you lift me
The very universe that guides my every thought
I carry you too, to my bosom
I sit there and I go deep in reflection, with you in me, by me

I listen to your song and memories
As they dance like a dream in my head
Thanking  you for your vision, memory and imagination…

I will only sing for you if you take these songs home with you
Carry me with them, and we sit together
And breath, And Breath, And Breath
Some life into our empty shell
Ululate, dance, sing for our broken shell
Whose fine, shiny dust sprinkles our path





 Canto per Azania*

C’è chi dice che non ci credo, ma non è vero
Io credo in te mia Azania
Tu sei la terra da dove vengo, mi hai elevata,
Sei l’universo che guida ogni mio pensiero
Anch’io ti porto con me, nel mio cuore
Mi siedo e sprofondo nelle mie riflessioni, con te in me, accanto a me

Ascolto il tuo canto e le tue memorie
Mentre loro danzano come un sogno nella mia mente
E ti ringrazio per la tua visione, memoria ed immaginazione…

Canterò solo per te, se porterai con te queste canzoni
Portami con loro, e sediamoci assieme
E respiriamo, E Respiriamo, E Respiriamo
Aliti di Vita dentro i nostri vuoti involucri
Ululati, balli, canti per i nostri involucri spezzati
Le cui polveri fini, brillanti cospargono il nostro cammino
                                                                         Natalia Molebatsi
(Traduzione di raphael d’abdon)

* Etimologicamente “Azania” è una parola araba o persiana che definisce le popolazioni nere dell’Africa. Nella letteratura antica si trovano riferimenti ad Azania in Plinio il Vecchio (23-79), il quale localizza il Mare di Azania nella zona costiera dell’odierna Somalia. Riferimenti più precisi su Azania si possono ritrovare nell’opera anonima Periplo del Mare Eritreo (scritta attorno al secondo secolo d.c.), nella quale sono descritti porti e commerci lungo le coste dell’Africa e dell’India. Nel Periplo Azania identifica un’area non ben definita lungo la costa orientale dell’Africa, che coincide con l’odierna Somalia, la zona costiera del Kenya e della Tanzania e l’antico sultanato arabo dello Zanj (sull’argomento vedi: G.W.B. Huntingford, Periplus of the Erythraean Sea, London, Hakluyt Society, 1980). Più recentemente Evelyn Waugh diede il nome di Azania all’isola fittizia situata fuori dalla costa somala nel suo romanzo Black Mischief del 1932. Azania riapparse in un contesto differente nel 1958, durante la All-African Peoples Conference organizzata da Kwame Nkrumah ad Accra (Ghana), dove il nome fu proposto come sostituto a Sudafrica. Ma l’uso moderno della parola Azania come nome alternativo a Sudafrica divenne popolare solo a partire dal 1979, quando cominciò ad apparire in nomi di organizzazioni come la Azanian People’s Organisation (una curiosità: a livello internazionale la Repubblica Popolare Cinese si riferiva ufficialmente ad “Azania” nei suoi rapporti diplomatici con il Sudafrica dell’apartheid). Durante le prime elezioni libere nel 1994 alcuni proposero Azania come nome ufficiale del paese, ma la richiesta rimase lettera morta. Fu l’ANC – storicamente avverso al concetto di Azania – a cassare la proposta, giudicando il termine Azania compromesso con il colonialismo (?), ma soprattutto troppo identificato con il partito dissidente PAC (Pan Africanist Congress).

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